La Legge del più forte
rubrica mensile a cura di Luca Picotti
Da quando l’utilizzo delle normative protettive sugli investimenti esteri ha assunto una dimensione centrale nelle dinamiche di mercato, nell’ottica di una maggiore sensibilità verso gli asset strategici, avvertita anche in sede di Unione europea con l’adozione del regolamento 2019/452, si continua a registrare una profonda discrasia all’interno del costrutto comunitario: da un lato c’è l’ambizione, confermata dai progetti di revisione del regolamento sopra citato, di creare uno scudo europeo verso gli investimenti dall’esterno, garantendo invece la piena libertà all’interno; dall’altro, la tentazione degli Stati membri di difendere la nazionalità delle proprie imprese, scrutinando pure gli investimenti intra-Ue. Da qui, le tensioni italo-francesi sul dossier Unieuro-Fnac, oppure incidenti come quello del primo veto su Safran. Ancora, anche se si tratta invero di una dimensione più politica, emblematico è l’approccio diffidente della Germania in merito all’operazione Unicredit-Commerzbank: per dirla provocatoriamente, sono tutti d’accordo sull’integrazione transfrontaliera e la creazione di campioni europei fino a quando ad essere scalata non è una propria società.
Spesso le frizioni tra Stati membri alla fine trovano una soluzione. Non è questo il caso di una recente operazione in Spagna, che ha avuto anche una certa eco mediatica: Madrid ha posto il veto all’acquisizione del produttore di treni spagnolo Talgo da parte del consorzio ungherese Ganz Mavag. Un’opa da 619 milioni, ritirata dopo il veto, con ripercussioni negative sui mercati.
Il governo spagnolo ha utilizzato la propria normativa sugli investimenti esteri per bloccare l’operazione, giustificando il provvedimento sulla base di ragioni di sicurezza nazionale e ordine pubblico. Tra gli elementi invocati, secondo le indiscrezioni stampa, vi è il tema dell’accesso ad informazioni sensibili sulla rete ferroviaria del paese. Se da una parte vi è il riferimento, in chiave estensiva, alla sicurezza nazionale, dall’altra sembra abbia contato anche un profilo non espressamente menzionato, ma trapelato grazie al lavoro del quotidiano El Pais, relativo ai possibili legami tra il consorzio ungherese e realtà russe, nonché, più in generale, tra l’Ungheria di Orban e Putin.
Nel consorzio Ganz Mavag si trova la società Magyar Vagon, al 55%, e il fondo di investimento statale ungherese Corvinus Zrt, al 45%. La prima è controllata da Ganz-Mávag Holding, in precedenza partecipata dal produttore di treni russo Transmashholding (THM), uscito nel 2022 dopo l’imposizione delle sanzioni ma che, stando a quanto citato da El Pais, potrebbe avere mantenuto stretti legami con la società ungherese.
Rimane il fatto che, al netto di tali legami, veri o presunti, l’investitore resta europeo e i muri sugli investimenti esteri all’interno del mercato unico non solo sono in contraddizione, come si diceva, con gli obiettivi del regolamento 2019/452, ma debbono avere serie giustificazioni di sicurezza nazionale, da interpretarsi restrittivamente. Non è un caso che Ganz-Mavag abbia subito paventato azioni legali, sia in sede nazionale che europea. Peraltro, sulla delicatezza dei muri nazionali nelle operazioni intra-Ue, rilevano i recenti casi VIG (2022) e Xella (CGUE 2023), aventi ad oggetto proprio dei veti posti dal governo ungherese, ad una società austriaca in un caso (VIG), ad una comunque stabilita in Ue nell’altro (Xella). In quel frangente le istituzioni europee adottarono un approccio rigoroso: il concetto di pubblica sicurezza, nella sua veste di deroga ai principi di libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, «deve essere interpretato restrittivamente» e il suo ambito di applicazione «non può essere definito unilateralmente dallo Stato membro senza che tale definizione sia soggetta al controllo delle istituzioni dell’Unione», con la conseguenza che «la sicurezza pubblica può essere invocata solo se esiste una minaccia reale e sufficientemente grave a un interesse fondamentale della società».
Quali prospettive per il veto intra-Ue su Talgo? In linea di massima, specie per un settore come quello di Talgo, trasporti e produzione di treni, è dubbia la compatibilità di normative protettive verso soggetti europei, per quanto a partire dal 2020 siano di fatto deflagrate. Da qui, due strade:
1. Fare confluire l’operazione nell’ambito della sicurezza nazionale – come in parte è stata giustificata. La sicurezza nazionale, di competenza esclusiva degli Stati membri (art. 4 TUE), permette deroghe ai principi europei della libera circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento, seppure da interpretarsi restrittivamente (v. Xella e VIG). In Talgo-Ganz Mavag quali sarebbero i potenziali pregiudizi in termini di sicurezza nazionale? Le informazioni sensibili, sembra. Un classico, ed ennesimo, esempio della rilevanza dei dati e in generale delle nuove tecnologie come fattore utilizzato per giustificare interventi sulle operazioni societarie, al di là degli stessi settori strategici, dal momento che oggi, e sempre di più in futuro, dati, interconnessione e patrimoni tecnologici si registrano e registreranno in ogni realtà aziendale mediamente avanzata. Va da sé che l’interpretazione, così posta, della sicurezza nazionale, non pare granché restrittiva.
2. Giustificare il veto valorizzando l’aspetto critico dei legami tra il consorzio ungherese e la Russia, sulla scia degli orientamenti della Commissione di aprile 2022, che ha invitato gli Stati membri a monitorare investimenti effettuati da società stabilite in Unione europea ma che possano essere veicoli, tramite controlli di ultima istanza, di Mosca. Ad esempio, in Italia, nel marzo 2023, il governo ha posto il veto all’acquisizione di Tecnologia Intelligente s.r.l. da parte di Nebius B.V., una società formalmente di diritto olandese ma da cui sono emersi stretti legami finanziari con la Russia. Sul punto, la Commissione ha invitato ad una maggiore cautela proprio perché negli ultimi decenni i rapporti tra Russia e Europa sono stati stretti, con diversi investimenti reciproci, filiali, sussidiarie, partecipazioni incrociate. Mentre il regolamento europeo 2019/452 ha un raggio di applicazione limitato agli investimenti di società extra-europee, salvo i tentativi di elusione, difficili però da dimostrare, gli Stati membri possono utilizzare le loro normative con un approccio più sostanziale, anche verso società stabilite in Unione europea ma riferibili in ultima istanza a soggetti russi: «L’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED è limitato ai casi in cui l’acquisizione di un’entità dell’UE comporta investimenti diretti da parte di una o più entità stabilite al di fuori dell’Unione. I casi che comportano unicamente investimenti effettuati da una o più entità stabilite nell’Unione in un altro Stato membro non rientrano invece nell’ambito di applicazione del regolamento, fatta eccezione per le operazioni ascrivibili ad un sistema di elusione messo in atto con la finalità oggettiva di evitare l’applicazione del regolamento stesso. Su tali investimenti, tuttavia, è possibile intraprendere verifiche o attivare meccanismi di controllo nazionali e intervenire nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, delle disposizioni del trattato riguardanti la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento» (Comunicazione della Commissione, 6 aprile 2022). Per ritornare a Talgo, dalle indiscrezioni stampa pare che il veto sia stato motivato anche (o soprattutto) dai legami tra l’Ungheria e la Russia. In questo senso, però, è necessario risalire a un controllo di ultima istanza, oppure a meccanismi di intreccio finanziario come quello di Tecnologia Intelligente-Nebius, altrimenti il rischio è che si valorizzino meri legami generali, che finiscono per tradursi in una denuncia politica della vicinanza di Orban con Putin (che magari può rendere inaffidabile il fondo statale Corvinus, o che protegge i vecchi legami tra Ganz-Mávag Holding e THM). Il che, però, diventerebbe un problema sistemico per l’Unione europea: se i rapporti tra Orban e Putin possono rendere ogni operazione intra-Ue con imprese ungheresi motivo di barriere per i legami più o meno esistenti con la Russia, ciò significa la frantumazione stessa del concetto “politico” di Unione europea – base essenziale di ogni normativa sugli investimenti esteri.
La partita è, pertanto, delicata e si muove tra un concetto di sicurezza nazionale interpretato estensivamente dagli Stati e restrittivamente dalle istituzioni europee e fratture politiche ancora più profonde, che concernono proprio la diversa postura dei paesi membri in politica estera. In questo, c’è anche da dire che l’Ungheria rappresenta un caso limite e, per certi versi, isolato. Tanto che non mi stupirei nel vedere una Unione europea (Commissione ed eventualmente CGUE) un po’ più, per così dire, accondiscendente verso il veto spagnolo all’opa del consorzio, con un approccio meno rigoroso di quello riservato, nei casi VIG e Xella, proprio all’Ungheria di Orban.