
La Legge del più forte
rubrica mensile a cura di Luca Picotti
La presenza dello Stato nelle recenti operazioni bancarie, in veste di mero osservatore (ricezione notifica e istruttoria) o addirittura di soggetto attivo (esercizio concreto dei poteri speciali nell’ops di UniCredit su Banco Bpm), ha sollevato diversi interrogativi in seno alle istituzioni europee. Dopo anni di sostanziale silenzio in materia di poteri speciali, l’Unione europea è tornata a far sentire la propria voce, quantomeno in forma interlocutoria. Il tema riguarda proprio l’opportunità o meno di interventi statali in nome dell’interesse nazionale in un settore, quello creditizio, già regolamentato (e spesso proprio da organi unionali, come la BCE per la materia bancaria, cui si aggiunge la Commissione per l’Antitrust se i deal sono sopra-soglia), in operazioni infra-Ue o persino domestiche. In questo senso, sebbene anche in altri paesi si sia acceso il faro (si pensi alla Spagna), l’Italia è al centro dell’attenzione, attesa la concomitanza di tre profili: una normativa Golden Power espansasi notevolmente negli ultimi anni sino ad abbracciare nell’ambito creditizio operazioni anche solo domestiche; l’avvio di un vero e proprio risiko bancario con sette offerte pubbliche; e infine l’intervento concreto nell’ops di UniCredit tramite ambigue prescrizioni. Se già la mera presenza dello Stato in veste di osservatore (Stato Panottico) era idonea a sollevare alcuni dubbi, le tensioni originate dall’esercizio dei poteri speciali hanno rappresentato il maggiore detonatore, tale da aprire potenzialmente un vaso di Pandora sulla normativa così come radicatasi negli ultimi cinque anni di anarchia infra-Ue e paradigmi emergenziali.
Un aspetto curioso, spesso dimenticato, è che il Golden Power è stato introdotto con il d.l. 21/2012 anche e soprattutto per superare le criticità, in termini di compatibilità con le libertà dei Trattati europei, della precedente normativa, la golden share del 1994. Quest’ultima era già stata oggetto di censura da parte della CGUE in due pronunce (2000; 2009) e, in assenza di una vera e propria riformulazione sostanziale, la Commissione aveva deciso il 24 novembre 2011 di deferire l’Italia alla Corte di giustizia a seguito dell’apertura nel novembre 2009 della procedura di infrazione n. 2009/2255, sempre con riguardo alla violazione della libertà di circolazione dei capitali e di diritto di stabilimento. Da qui, tramite decretazione d’urgenza, l’introduzione del Golden Power, a sancire un cambio di prospettiva notevole rispetto all’impianto della golden share: l’obiettivo era, da un lato, disegnare uno strumento al passo con i tempi, strutturale e non più legato alla peculiare vicenda delle privatizzazioni, dall’altro proprio ricondurre i poteri speciali sulle imprese strategiche nella cornice dei Trattati europei. Difatti, nella sua formulazione originaria del 2012, il Golden Power era piuttosto circoscritto sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo: all’art. 1 difesa e sicurezza nazionale, con possibilità di intervento anche in operazioni infra-Ue o domestiche; all’art. 2 energia, trasporti e comunicazioni, con possibilità di intervento solo verso investitori extra-Ue (salvo l’ambiguità dell’art. 2 co. 2). A quel punto la Commissione, preso atto della riforma e dei criteri sufficientemente precisi e proporzionati alla base della nuova disciplina, ha archiviato la procedura di infrazione. Non bisogna dunque dimenticare la centralità del rapporto con l’UE nella genesi del d.l. 21/2012.
Si trattava però di un’altra epoca storica. Nei primi anni Duemila le istituzioni europee avevano molta più forza e coraggio nel contrastare gli istinti protezionistici degli Stati. La cornice dell’infrastruttura giuridica UE, con i suoi principi della concorrenza, della libertà di stabilimento, dei limiti agli aiuti di Stato, era decisamente più solida. In questo senso, la saga della golden share è stata emblematica; la Commissione ha portato davanti alla CGUE sostanzialmente tutte le normative degli Stati membri, in quanto contrastanti con le libertà dei Trattati, e la Corte le ha censurate tutte, salvo quella belga: tra i tanti, C-58/99, Commissione vs. Italia, [2000]; C-367/98, Commissione vs. Portogallo, [2002]; C-483/99, Commissione vs. Francia, [2002]; C-503/99, Commissione vs. Belgio, [2002]; C-463/00, Commissione vs. Spagna, [2003]; C-98/01, Commissione vs. Regno Unito, [2003]; C-174/04, Commissione vs. Italia, [2005]; casi riuniti C-282/04 e C-283/04, Commissione vs. Paesi Bassi, [2006]; C-112/05, Commissione vs. Germania, [2007]; C-274/06, Commissione vs. Spagna, [2008]; C-207/07, Commissione vs. Spagna, [2008]; C-326/07, Commissione vs. Italia, [2009]; C-171/08, Commissione vs. Portogallo, [2010]; C-543/08, Commissione vs. Portogallo, [2010]; C-212/09, Commissione vs. Portogallo, [2011]; C-244/11, Commissione vs. Grecia, [2012]; C-95/12, Commissione vs. Germania, [2013].
Il panorama internazionale ha però poi iniziato progressivamente a raffreddarsi e tra il 2019 e il 2020 si avrà uno spartiacque cruciale, ossia l’inizio della grande estensione dei poteri speciali, rimasta di fatto inaffrontata per cinque anni, quantomeno sino ad oggi. L’aspetto più interessante è che a stimolare questa espansione è stata in parte la stessa Unione europea, in una eterogenesi dei fini da manuale. Difatti, l’UE ha inteso rafforzare la propria proiezione strategica per fare fronte alle sfide geopolitiche emergenti, nell’ottica di tracciare alcune mura verso l’esterno (Cina in primis), mantenendo invece libero il mercato interno; da qui il Reg. 2019/452, volto a disegnare un quadro sullo screening di investimenti extra-Ue, accompagnato dalla individuazione di numerosi settori strategici da monitorare (i factors di cui all’art. 4), ben al di là di qualsivoglia elencazione statale: infrastrutture critiche, tra cui l’energia, i trasporti, l’acqua, la salute, le comunicazioni, i media, il trattamento o l’archiviazione di dati, le infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali o finanziarie, e le strutture sensibili, nonché gli investimenti in terreni e immobili fondamentali per l’utilizzo di tali infrastrutture; tecnologie critiche e prodotti a duplice uso, tra cui l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, la cybersicurezza, le tecnologie aerospaziali, di difesa, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, nonché le nanotecnologie e le biotecnologie; fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare; informazioni sensibili; libertà e pluralismo dei media (si pensi che ai tempi la normativa italiana manteneva ancora il focus solo su difesa, sicurezza nazionale e 5G; comunicazioni, trasporti, energia).
Dove sta l’eterogenesi dei fini? Proprio durante l’entrata in vigore di tale Regolamento, indirizzato negli intenti solo verso gli investitori extra-Ue, scoppia la pandemia, a cui seguiranno poi le diverse altre crisi. Il risultato in Italia è stato il recepimento, da una parte, di tutti i settori elencati nel Regolamento e l’estensione, dall’altra, della tutela dei poteri speciali anche in operazioni infra-Ue, giustificata dall’emergenza e difatti prevista in via transitoria, sebbene prorogata più volte per i primi tre anni, sino alla parziale cristallizzazione a decorrere dal 1° gennaio 2023. In sostanza, l’UE ha suggerito, quasi stimolato, una estensione dei settori strategici, che però è stata accompagnata da un innalzamento dei muri anche all’interno del mercato unico, stante l’emergenza pandemica, in totale contrasto con la ratio che aveva ispirato il legislatore europeo. Da qui è emerso l’impianto attuale, che vede un controllo nelle operazioni infra-Ue non solo nel campo della difesa e sicurezza nazionale, ma anche nei trasporti, comunicazioni, energia, salute, agroalimentare, finanziario. Con l’inciso che in questi casi la normativa si applicherà anche rispetto a investitori residenti in Italia, escamotage per evitare disparità di trattamento.
Negli ultimi cinque anni hanno regnato sostanzialmente l’anarchia e il paradigma emergenziale, atteso anche il susseguirsi di crisi e le continue deroghe all’infrastruttura UE (patto di stabilità, limiti aiuti di Stato). In questo modo, l’Italia (ma non solo) ha rafforzato la propria normativa, innalzando muri pure a livello infra-Ue. La debolezza della Commissione, l’effettivo susseguirsi di shock nonché l’uso comunque parsimonioso dei poteri speciali hanno sostanzialmente lasciato in sospeso la questione, non irrilevante, di questi muri interni, rimandata a data da definirsi. Data che oggi sembra più vicina, con l’attivazione del meccanismo EU Pilot, i rischi di rinvii pregiudiziali nel ricorso al Tar di UniCredit e in generale le sempre maggiori richieste di chiarimenti sul crescente interventismo dello Stato.
Le perplessità delle istituzioni europee riguardano sia l’intervento concreto nel caso UniCredit-Banco Bpm che, di riflesso, la normativa in generale così come radicatasi. Da un lato, non convince l’utilizzo dello strumento in un settore già molto regolamentato, in particolare dall’organo di vigilanza unico (BCE), nonché sottoposto poi al caso anche al controllo della Commissione per i profili concorrenziali; dall’altro, forse non convince nemmeno più tanto l’escamotage di avere ricompreso nell’ambito di applicazione del Golden Power anche le operazioni meramente domestiche, così da non essere accusati di discriminazione verso gli operatori europei, circostanza che si traduce in un formale rispetto del principio di non discriminazione, ma a completo sacrifico dei limiti alle restrizioni nella circolazione dei capitali. Qui entra in gioco la normativa in generale, al di là del settore finanziario e del singolo caso. Un vaso di Pandora ormai semi aperto. Anche perché, vi è da dubitare che in sede contenziosa sarà sufficiente la classica argomentazione utilizzata dai giudici amministrativi per liquidare i dubbi di compatibilità del Golden Power con le libertà dei Trattati: in più occasioni, è stato infatti sottolineato che “l’attuale normativa italiana in tema di poteri speciali nasce d’altra parte per rispondere ai rilievi mossi dalla Corte di Giustizia nei confronti del precedente sistema della golden share e, proprio in conseguenza dell’adozione del decreto-legge n. 21/2012 […] la Commissione ha deciso di archiviare, con decisione del 15 febbraio 2017, la procedura di infrazione avviata con riferimento alla disciplina in questione ritenendo la normativa primaria compatibile con le disposizioni degli articoli 49 e 63 TFUE” (Cons. Stato, Adunanza di sezione 12 marzo 2025); oppure, “Non vi è neppure ragione di formulare un rinvio pregiudiziale per avere dalla Corte di Giustizia l’esatta interpretazione del diritto unionale (a ciò soltanto essendo deputato l’istituto del rinvio pregiudiziale): invero, la puntuale delimitazione e conformazione dei poteri de quibus disposta dalla normativa nazionale – adottata all’esplicito fine di porre rimedio alle problematiche di conformità con il diritto UE della precedente disciplina – si conforma alle citate disposizioni dei Trattati per come già chiaramente interpretate dalla Corte stessa” (Cons. Stato 5 luglio 2023 n. 6575).
Trattasi di argomentazioni che avevano come riferimento la normativa originaria del 2012 e potevano dunque avere pregio in relazione alla stessa, nata appunto per risolvere le problematiche con la UE. Oggi però la disciplina è completamente diversa. Sicché, per valutare la sua estensione in termini di compatibilità rispetto alle libertà dei Trattati, non può più valere l’argomento sulla compatibilità di default che sarebbe confermata dall’archiviazione della precedente procedura di infrazione.
La questione è ora decisamente complessa e si sviluppa su più piani differenti, in parte legati al provvedimento concreto su UniCredit, in parte di carattere generale.
Nell’ambito del ricorso di UniCredit innanzi al Tar Lazio, attesa la sensibilità sinora mostrata dai giudici amministrativi verso le ragioni governative in tema di poteri speciali, vi è l’opzione di un rinvio pregiudiziale alla CGUE, sì da verificare se il diritto UE va interpretato nel senso che osta ad una normativa di controllo sugli investimenti esteri come quella radicatasi in Italia a partire dal 2023 e che consente un intervento in un’operazione domestica nel settore creditizio.
Vi è poi l’ipotesi, a ben vedere più controversa, di una censura da parte della Commissione ai sensi dell’art. 21 par. 4 del regolamento sulle concentrazioni, sull’assunto che, rientrando l’operazione nell’ambito di competenza della Commissione in materia di concentrazioni, un intervento governativo può essere considerato ammissibile solo ai sensi del citato comma, ossia qualora vi sia da tutelare un interesse di sicurezza pubblica, non ravvisabile nel caso di specie. È il precedente VIG 2022, anche se non mancano profili critici. Innanzitutto, si trattava dell’Ungheria; poi, vi era stato un veto; infine, il precedente abbastanza inedito dell’intervento della Commissione non ha avuto seguito in quanto la vicenda si è conclusa con una transazione, senza permettere di affrontare alcuni nodi sia teorici che pratici: difatti, in quel frangente la Commissione aveva avviato una particolare procedura dialettica con l’Ungheria (richiesta chiarimenti ex art. 11 (6)) durata più di sei mesi e sfociata in un ordine di ritirare la decisione di veto entro un certo termine; come leggere tale ordine? probabilmente, in termini di rapporti tra Ungheria e Unione europea, nel senso che una eventuale inottemperanza avrebbe potuto condurre ad una procedura di infrazione, perché poteri di annullamento rispetto al provvedimento dovrebbero a ben vedere essere riconducibili solo agli organi giurisdizionali interni (ed è inoltre altrettanto problematico il principio per cui, ogniqualvolta vi sia la competenza della Commissione in materia concorrenziale, ogni intervento statale, anche in sede di eccezione di sicurezza nazionale, possa essere valutato e al caso censurato dalla stessa con ordine di ritirare il provvedimento).
È proprio la procedura di infrazione lo spettro più grande che rischia di uscire dal vaso di Pandora della normativa Golden Power. Al di là del singolo caso concreto, vi è sempre la possibilità che la Commissione – che può essere sollecitata, o può agire a seguito di un infruttuoso EU Pilot – apra una procedura di infrazione atta a censurare la normativa italiana in sé. Non il singolo provvedimento, ma proprio la legge così come stratificatasi a partire dal 2023, in ispecie per quanto concerne gli interventi nelle operazioni infra-Ue e domestiche. È l’ipotesi golden share, ove la CGUE aveva censurato, come si è visto, sostanzialmente tutte le normative degli Stati membri, salvo quella belga.
Hanno le istituzioni europee la forza di aprire un fronte di questo tipo nei confronti dell’Italia? Non è dato saperlo. Come si diceva, i tempi sono cambiati. I paradigmi emergenziali sono entrati sempre di più negli ordinamenti politici e anche nelle corti. La categoria della sicurezza nazionale si è dilatata. L’Italia in ogni caso non è l’Ungheria, paese spesso isolato e in attrito con le istituzioni europee, circostanza che ha forse facilitato una certa assertività. Con tutta probabilità non si tratterebbe poi di un fronte con la sola Italia, atteso che muri all’interno del costrutto comunitario sono sempre più presenti. Insomma, l’UE e il mondo non sono più quelli dei tempi della golden share.
Va da sé che i diversi nodi rimangono. E le interlocuzioni sono state avviate, quantomeno nella fase informale dell’EU Pilot. Il rischio che a questa fase segua l’apertura di una vera e propria procedura di infrazione esiste, sebbene tamponato dai fattori di cui sopra. Così come esiste il rischio che all’interno del ricorso di UniCredit innanzi al Tar Lazio venga accolta una richiesta di rinvio pregiudiziale, con le sorti della normativa sui poteri speciali che sarebbero così affidate al giudizio di una più rigida CGUE. In altre parole, il faro dell’UE si è riattivato dopo anni di silenzio e sostanziale accettazione dell’anarchia emergenziale all’interno del costrutto, con conseguenze che possono andare anche al di là delle singole vicende del risiko bancario.