La Legge del più forte
rubrica mensile a cura di Luca Picotti
Negli ultimi anni sono deflagrate le cosiddette normative protettive sugli investimenti esteri diretti, nella cornice di una maggiore sensibilità politica verso le dinamiche di mercato. A fare scuola è il CFIUS statunitense, uno dei regimi più datati, che affida al potente comitato il compito di scrutinare gli investimenti stranieri in società americane considerate strategiche, con la possibilità di condizionare l’esito dell’operazione o di vietarla – prerogativa, questa, concessa dopo il procedimento istruttorio al solo Presidente. Anche l’Unione europea è di recente entrata nella partita protezionista: con il Regolamento n. 2019/452, si è dotata di un quadro giuridico comune avente ad oggetto proprio gli investimenti di soggetti extra-Ue che possano compromettere la sicurezza e l’ordine pubblico nel mercato unico.
Il Golden Power italiano, introdotto nel 2012, rientra appieno nella categoria del foreign direct investment screening: è spesso definito come il regime che consente al governo di controllare gli investimenti esteri in Italia. Il che è senz’altro vero e non è un caso che la maggioranza delle notifiche, circa il 70%, concerna operazioni di acquisto di partecipazioni, ossia il classico esempio di investimento: la società estera, poniamo cinese, che notifica l’acquisto della maggioranza del capitale di una società italiana strategica. Operazione che viene scrutinata in coerenza con le logiche del foreign direct investment screening.
Vi è però un’altra dimensione della normativa Golden Power, ad oggi ancora minoritaria, ma non per questo trascurabile: quella relativa alle operazioni endosocietarie, che prescinde dall’investimento estero e, anzi, spesso agisce dopo che questo è già avvenuto, a posteriori, nell’ottica di un continuo monitoraggio della vita sociale dell’impresa strategica.
È il caso dell’art. 2 co. 2 del d.l. 21/2012 (oppure, in forma analoga, dell’art. 1, co. 1, lett. b): è prevista la notifica per “qualsiasi delibera, atto o operazione, adottato da un’impresa che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1, che abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione, comprese le delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento all’estero della sede sociale, la modifica dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie […], il trasferimento dell’azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l’assegnazione degli stessi a titolo di garanzia”.
La norma è composta, da un lato, da un elenco esemplificativo di delibere da notificare, dall’altro da una formula generica e generale, per sua natura idonea a comprendere in via residuale qualunque operazione endosocietaria che possa essere rilevante. È lo stesso Tar nella sentenza sul caso Cedacri a giustificare tale genericità, sostenendo che simili espressioni debbono essere “interpretate alla luce della finalità della disciplina in esame” ed “evidenziano, nella loro genericità e ampiezza, l’esigenza di monitorare, in ottica preventiva, ogni operazione in grado di incidere sugli attivi individuati come strategici, senza incentrarsi sullo strumento giuridico concretamente utilizzato (piena proprietà o diritto reale di godimento o di garanzia), ma avendo di mira l’effetto concreto della stessa in termini di potenziale incidenza sul contratto della società e dei suoi asset”.
La rilevanza delle delibere societarie fa sì che la normativa Golden Power non si esaurisca nella sua finalità di foreign direct investment screening, ma assuma un ruolo ulteriore, di controllo ex post rispetto a società di diritto italiano che sono spesso già state oggetto di acquisizioni da parte di altri soggetti.
Ad esempio, tale espediente può essere utilizzato al fine di predisporre accorgimenti che, magari, al tempo in cui il controllo è stato ceduto a soci stranieri, non erano stati implementati. È proprio questo il caso di Pirelli: quando i cinesi sono entrati nel capitale nel 2015 nulla è stato fatto, ma poi nel 2023, in un’altra epoca storica, si è approfittato del rinnovo del patto parasociale per intervenire; questo perché Pirelli, nonostante la maggioranza relativa del socio cinese, rimane una società di diritto italiano, reputata strategica e le cui delibere possono rilevare ai sensi dell’art. 2 co. 2 – tralasciamo il fatto che il patto parasociale non integra, a ben vedere, una delibera, atto o operazione dell’impresa, essendo un accordo privatistico tra soci.
Poteva essere questo il caso, stando alle indiscrezioni stampa, di Ferretti, società di diritto italiano leader nella nautica di lusso, dal 2012 controllata dai cinesi di Weichai (37,541%): una delibera di acquisto di azioni proprie è stata annullata in seguito all’apertura dell’istruttoria del golden power, probabilmente per il timore che il governo approfittasse di tale operazione per intervenire con specifiche condizioni, come accaduto per Pirelli; ovviamente, tale (sospettato) escamotage lascia il tempo che trova, nel senso che prima o poi una delibera dovrà essere adottata e notificata al governo italiano. Esempio plastico del controllo a posteriori garantito dalla normativa Golden Power.
Ancora, la rilevanza delle operazioni endosocietarie può servire anche quando vi è già stato un vaglio governativo, ma si vuole rimarcare alcune condizioni: è il caso proprio di Cedacri, che aveva già notificato la costituzione dei pegni sulle azioni in precedenza ma che nella successiva estensione degli stessi, al momento della delibera di emissione del prestito obbligazionario, ha visto il governo esercitare i poteri speciali.
Interessante è anche il caso di Nhoa. Nella vicenda specifica, si aggiunge il tema della prassi delle condizioni che vengono imposte dal governo, rispetto alle quali sono sorte negli ultimi mesi, stando sempre alle indiscrezioni stampa, alcune problematiche. Quando nel 2021 Tcc ha rilevato Nhoa, nelle condizioni pare essere stato imposto di notificare ai sensi del golden power ogni modifica della governance. Lo stesso è stato fatto, ad esempio, anche nel caso delle condizioni di Pirelli, ove è stato previsto che ogni nuovo ulteriore rinnovo del patto parasociale dovrà essere notificato. Questo significa aggiungere obblighi di notifica rispetto a quelli previsti dalla legge. Nel caso Pirelli, si ribadisce la necessità di notificare i patti parasociali, nonostante ciò non sia previsto dalla norma a livello testuale. Nel caso Nhoa, si impone di notificare modifiche alla governance, senza specificare quali. Dunque, si amplia il raggio della norma, che impone la notifica solo per atti o delibere che modifichino il controllo o la disponibilità degli attivi. Qui invece sembra si imponga di notificare qualsiasi modifica, a prescindere dall’effetto sostanziale. E ciò è quanto lamenta Tcc, che ritiene di avere correttamente notificato l’Opa mentre si è limitata ad una mera comunicazione per il rinnovo del consiglio di amministrazione, in quanto – dal suo punto di vista – non vi sono stati cambi rilevanti. Per la norma forse sarebbe corretto, ma lo è rispetto al Dpcm del 2021? C’è da dubitarne, se il Dpcm viene preso alla lettera, ossia con ogni modifica della governance da notificare.
Infine, vale menzionare uno dei più celebri casi di utilizzo del Golden Power, nonché uno dei primi: quello di Tim-Vivendi del 2017. Difatti, in quel frangente fu ritenuto applicabile il Golden Power sia in ragione dell’art.1, che dell’art. 2 co. 2, pur in mancanza, per stessa ammissione del Ministero dell’Interno nel proprio parere, “di elementi documentali certi in odine […] all’adozione, da parte della società in questione, di delibere modificative della titolarità o del controllo, relativamente ai settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (ex art. 2 d.l. n. 21/2012)”. Ciononostante, la genericità del disposto di cui all’art. 2 co. 2 ha permesso l’applicazione della normativa al caso in oggetto. Peraltro, da un punto di vista squisitamente teorico, merita riportare alcune criticità strutturali della disposizione evidenziate al tempo dalla dottrina: «Quale che sia il significato che si intenda attribuire all’espressione controllo, resta comunque certo che l’acquisto del controllo su una società avviene per effetto dell’acquisto o sottoscrizione del suo capitale, non certo per effetto di una delibera (salve le ipotesi della fusione o della scissione, che fanno ovviamente storia a sé)» (Triscornia 2019).
In ogni caso, al netto di tale ultimo profilo, che meriterebbe un approfondimento a sé, quanto emerge dalla presente disamina è che il Golden Power non è solo uno strumento di foreign direct investment screening, ma molto di più. A rigor di logica, uno meccanismo di screening dovrebbe limitarsi ad un controllo nel solo momento dell’investimento e, una volta dato il via libera – perché ad esempio non si sono ravvisati rischi per la sicurezza nazionale – disinteressarsi delle sorti dell’impresa. Invece il Golden Power, grazie alla valorizzazione delle operazioni endosocietarie, permette un controllo continuato, a posteriori, tale da rendere ogni delibera rilevante potenzialmente oggetto di notifica. Ciò consente di rimediare, ad esempio, ad investimenti accolti con troppa leggerezza in passato, oppure a utilizzi timidi dei poteri speciali in precedenti operazioni, o ancora di mantenere certi indirizzi aziendali nella cornice più consona alla fase storica. In sostanza, anche se ad oggi quanto più rileva sono ancora gli investimenti tramite acquisto di partecipazioni, non bisogna trascurare l’importanza del controllo sulle operazioni endosocietarie: potenzialmente, trattasi dell’ingerenza più invasiva e illimitata nel tempo. Dunque, la più soggetta agli umori politici, come il caso Pirelli ha ben evidenziato.