La Legge del più forte
rubrica mensile a cura di Luca Picotti
I trasporti costituiscono un segmento dell’economia storicamente considerato strategico. Si pensi al caso italiano: l’impianto tradizionale delle normative protettive, dalla golden share al golden power, ha sempre contemplato tale settore nel proprio raggio di applicazione. Dopodiché, la centralità delle infrastrutture su cui poggiano i trasporti – porti, aeroporti, rete ferroviaria – è emersa soprattutto negli ultimi anni e in particolare con riferimento agli scali portuali, a causa di certe acquisizioni di terminali europei, dell’interesse di Pechino per il porto di Trieste come punto di arrivo della Via della Seta e infine della crisi della logistica causata dalla pandemia e dalla guerra. Considerato che quasi il 90% in volume del commercio internazionale passa via mare, l’importanza dei porti, in termini economici, strategici e politici è diventata dunque tema di dibattitto pubblico. In molti si sono chiesti come proteggere i nostri scali da potenziali acquisizioni straniere predatorie o comunque politicamente sensibili. In altre parole, in Italia si può verificare un Pireo 2.0?
Per chi non ricordasse, nel 2016 la compagnia di navigazione cinese COSCO ha acquisito il 51% della Port Authority del Pireo in Grecia, che era stata da poco privatizzata per fare cassa in un periodo di profonda crisi. Pechino ne ha dunque approfittato, garantendosi il controllo di uno scalo centrale nel Mediterraneo. Il che, si badi bene, da una prospettiva economica ha portato ad un grande miglioramento del porto in termini di efficienza e TUE movimentati. Da una prospettiva strategica, però, ha sollevato numerose preoccupazioni sulle implicazioni politiche di una penetrazione cinese negli scali europei. Difatti, l’acquisizione del porto del Pireo non ha rappresentato un fenomeno isolato. L’Impero celeste si è interessato anche ad altri scali e, in particolare, al controllo della logistica portuale. A titolo d’esempio: la società cinese COSCO ha acquisito il 51% della spagnola Noatum Port Holdings, gestore del più grande terminal container nel porto di Valencia e l’unico dello scalo di Bilbao; nel 2014 ha acquisito il 20% del terminal Antwerp Gateway di Anversa e nel 2016 il 35% di Etr Euromax Terminal Rotterdam; da ultimo, ha fatto discutere a fine 2022 il caso dell’acquisizione del 24,9% di Tollerort, uno dei 4 terminal del porto di Amburgo.
Da qui la domanda: possono imprese straniere penetrare nei porti italiani? Il tema si interseca con quello dell’applicazione del golden power nel settore dei trasporti. I porti sono senz’altro contemplati tra gli attivi strategici ai sensi dell’art. 2 del d.l. 21/2012, che concernono le infrastrutture (il porto di “interesse nazionale”) e non le imprese di trasporto in senso stretto (il vettore marittimo). In ogni caso, a parere di chi scrive, lo scudo governativo dei poteri speciali è relegato, in questo settore, ad una posizione marginale. Infatti, i porti italiani sono interessati da un triplice livello di tutela: la forma giuridica dell’autorità di gestione, il titolo concessorio degli operatori e, solo infine, i poteri speciali del golden power.
In Italia i porti sono gestiti dalle autorità di sistema portuale, che non sono società commerciali, ma enti pubblici non economici, sottoposti ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e non contendibili da società straniere. La gestione dell’intero sistema-porto spetta, pertanto, in virtù degli interessi collettivi, a enti pubblici che, banalmente, non stanno sul mercato. Al momento, non ci sono pericoli di un Pireo italiano.
L’attenzione andrà piuttosto riposta su coloro che operano di fatto nei porti di interesse nazionale: terminalisti, operatori di logistica etc., dai quali dipendono, nella sostanza, le attività di movimentazione, rimorchio, trasbordo, stoccaggio e altri servizi essenziali. L’autorità di sistema portuale, infatti, ha un potere di programmazione generale, ma poi nel concreto affida le singole aree e i lavori a imprese commerciali tramite concessione. In questo senso, i poteri speciali potranno essere astrattamente esercitati nei confronti di società che, in virtù di un provvedimento concessorio, gestiscono, ad esempio, un terminal strategico. La prassi sembra andare in questa direzione: si pensi alla notifica di importanti operazioni nella logistica portuale come l’acquisizione di una quota di maggioranza della Piattaforma Logistica Trieste s.r.l. da parte della tedesca Hhla International Gmbh. Il punto è che, se è vero che il golden power può essere utilizzato in questa sede – a operare nei terminal sono vere e proprie società commerciali – vi è anche da dire che la disciplina prevede una concessione da parte dell’autorità pubblica. Sicché, gli interessi pubblici possono (e devono) essere già tutelati in sede di rilascio del titolo concessorio, senza necessità di ulteriori interventi governativi.
È dunque solo in ultima istanza che, eventualmente, si può ricorrere ai poteri speciali del golden power. Non è un caso che, ad oggi, non vi sono mai stati utilizzi rilevanti dei poteri in questo settore.
Tale concorso di normative è apparso evidente in un caso inerente alla gestione aeroportuale, diversa da quella portuale, ma meritevole comunque di attenzione. Gli aeroporti, a differenza dei porti, sono gestiti da vere e proprie società di capitali – non da enti pubblici non economici. Vi è però una peculiarità: tali società sono ascrivibili «alla categoria delle società di capitali di diritto speciale, essendo costituite a seguito di uno specifico intervento legislativo, con individuazione eteronoma (non rimessa cioè all’autonomia statutaria) dei criteri per la scelta dei soci pubblici e privati e dei loro rapporti, delle modalità di collocazione dei titoli sul mercato, della nomina di amministratori e sindaci da parte dell’ente pubblico interessato, dell’entità del capitale sociale, delle forme di controllo dell’economicità e dell’efficienza dei servizi» (Carretta 2021). La disciplina speciale, dunque, già tratteggia un decisivo controllo sulle operazioni societarie delle imprese atte a svolgere l’attività di gestione aeroportuale, tanto da fare ritenere residuale, quando non inutile, lo scudo del golden power. Sul punto, è interessante riportare l’esempio dell’acquisto del 79,793% delle azioni di Geasar S.p.A. (gestore dell’Aeroporto di Olbia-Costa Smeralda) da parte di F2i Aeroporti 2 S.r.l.: il Governo, ricevuta la notifica dell’operazione, ha ritenuto di non deliberare l’esercizio dei poteri speciali, in quanto l’operazione notificata era già regolamentata da una convenzione tra ENAC e Geasar S.p.A. e, pertanto, trovava applicazione l’art. 4 del D.P.R. 85/2014, per cui è esclusa l’applicabilità dei poteri speciali ogni qualvolta «sussista una specifica regolamentazione di settore tale da garantire la tutela degli interessi essenziali dello Stato».
L’attenzione verso i porti è senz’altro più intensa rispetto a quella riservata alla dimensione aeroportuale e, come si è visto, le discipline presentano differenze sostanziali, a partire dal soggetto a cui è affidata la gestione in sé. Quello che però si può trarre, e che aiuta a leggere l’assenza di provvedimenti di utilizzo dei poteri speciali nel settore dei trasporti, è la presenza di plurime normative volte a tutelare gli interessi pubblici. Nel caso che qui ci interessa, ossia i porti, vi è, come si diceva, un triplice livello.
Innanzitutto, la loro gestione è affidata ad enti pubblici non economici, non contendibili né scalabili. Affinché si verificasse un Pireo italiano, le autorità di sistema portuale dovrebbero essere trasformate, ad esempio, in S.p.a. Ma, come si è visto nel caso degli aeroporti, per la tutela degli interessi pubblici pure le s.p.a. possono assumere forme particolari, come le società di diritto speciale, ove vi sono requisiti stringenti in termini di partecipazioni, assetti di potere e governance. Dopodiché, se anche si volge lo sguardo ai terminalisti, vi è la disciplina concessoria che condiziona il rilascio del titolo a taluni accorgimenti a tutela degli interessi pubblici, sicché vi è anche qui un grado di protezione. Infine, e solo infine, rimane lo spettro del golden power, come strumento di ultima istanza qualora le varie normative settoriali non riescano a tutelare in maniera sufficientemente adeguata la strategicità degli asset.
In definitiva, non è un azzardo affermare che oggi i porti italiani sono, astrattamente, ben protetti. Non solo non si può verificare un Pireo italiano, ma pure le operazioni in ambito di logistica portuale sono sottoposte a plurimi controlli. In questo settore, si può, forse, dire che il golden power è veramente uno strumento eccezionale di ultima istanza.